Personæ
Anna Pazi Giovanni Guerzoni – Ferrara, ottobre-novembre 2024
Il titolo
Un buon titolo potrebbe sostituire il testo critico. Il titolo è in latino perché implica un significato che è già una chiave di lettura interpretativa di questa mostra. Potrei quasi fermarmi qui. Ma non vorrei sembrare troppo pigra. Per rendere più esplicito il concetto potevo anche farlo precedere, il titolo, dalla lezione in etrusco e da quella in greco. Ma nessuno avrebbe creduto a questa mia vastità culturale e si sarebbe capito che utilizzo Wikipedia.
La citazione
Se riprendo più volte un tema è per calarmici dentro più profondamente. Un’immagine non si esaurisce in un unico dipinto. Ogni versione rappresenta un contributo al sentimento della mia prima impressione. (E. Munch)
L’analisi critica (se non avete tempo saltatela, ha già detto tutto la citazione)
Ogni nuova mostra di Paolo Pallara aggiorna il suo percorso artistico senza mai contraddire il cammino già compiuto. Lo dico con cognizione di causa avendolo costeggiato fin quasi dall’inizio. Lo spettatore non ha bisogno di conoscere il repertorio per godersi il suo sviluppo, ma se lo conosce apprezzerà il dettaglio raffinato che fa la sua prima comparsa, le nuova cifra stilistica, il colore mai usato prima, anche se dato con estrema parsimonia, o viceversa la scomparsa di un altro che ha concluso la sua vita espressiva. Qualcosa però stava cambiando. Già nelle esposizioni più recenti avevo notato che lo scrutatore di mondi, padroneggiati con estremo rigore nonostante il linguaggio informale, incominciava a mettere in gioco sé stesso. Oggi l’argine si è rotto: senza mutare calligrafia e rendendosi così sempre riconoscibile, l’artefice ha lasciato che la figura umana irrompesse. La cosa, a dire il vero, non è del tutto nuova, ma si era limitata, e occasionalmente, a figure tridimensionali (che anche qui ricompaiono); mai in maniera così ossessivamente seriale, un intero mazzo di carte che, interrogato dal nostro sguardo,continua a darci sempre lo stesso inesorabile responso. E quanto la scelta di misurarsi con l’umano sia stata meditata, cioè sofferta, lo dimostra il fatto che molte di queste carte giacevano da tempo nello studio del loro autore.
Breve storia della serialità in arte (*)
Da Cimabue insino a’ tempi dell’Impressionismo (compreso) prevale una serialità di tipo estensivo (in musica si direbbe: variazioni sul tema); da Cézanne alle avanguardie storiche prevale una serialità di tipo intensivo, Munch compreso (è una cosa più concettuale, come sovrapporre tutte le opere di un autore, di una fase, di un soggetto e ricavarne mentalmente l’Opera riassuntiva e definitiva); dal secondo dopoguerra la serialità è un brand. (*) Questo capitoletto è ispirato a History of Rock ’n’ Roll di Andy Partridge.
L’allestimento
In qualunque modo verrà allestita questa mostra così me la immagino: un corridoio lungo e stretto introdotto, come fossero guardiani del tempo, e concluso, come fosse un oracolo, dalle sculture (totale: tre sculture). I fogli dipinti: incessanti sui muri. E il visitatore che percorre questo corridoio in totale solitudine.
Appendice: due manoscritti ritrovati
Il ritrovamento di un manoscritto di solito innesca un racconto. Io li ho trovati al termine del mio. Ero riuscita, come desideravo, a mantenere una distanza di sicurezza, a tenere sotto controllo quasi ogni emotività. Sarei giunta in questo modo indenne alla fine del percorso, lasciandomi libera di avere anch’io, come spettatrice, un rapporto totalmente personale con questi volti. Ma pochi giorni prima di consegnare questo scritto qualcuno mi ha infilato sotto la porta di casa un paio di foglietti vergati a mano (o forse li ho trovati tra i dipinti sparsi sul banco di lavoro di Paolo, non ricordo). Avevo già pensato, ma forse avevo anche già scartato l’idea, di catalogare in due famiglie questa serie di opere, tracciando un crinale basato sulla differente apertura oculare e dal grado di evanescenza dei volti (o, al contrario, dalla loro incisività grafica). Grazie ai due manoscritti ho recuperato questa possibile distinzione. E soprattutto ho trovato chi ha dato voce a ciò che, per pudore, preferivo tenere nascosto.
Primo manoscritto
Sindone, il tuo volto
Ricordo perso, disciolto
Dentro i laghi più profondi
Che costellano il tuo viso
Ora mappa geografica
Del mio inespresso dolore.
Sabbie mobili, i tuoi occhi
Mi tengono prigioniera
Urlano il mio nome
Come pazienti in attesa
Impazienti di tornare
A respirare:
Non ho ossigeno da regalare
Né un grembo che possa partorire.
Quel che ho censurato
A fatica cancellato,
Torna a reclamare
La sua trascorsa esistenza
Materiale.
Ma io non so dare la vita
A chi la esige restituita.
In questa faccia io non scorgo
Che la misura dello strazio
D’essere umana creatura
Costretta a perdere dei compagni
Anche l’ultima memoria:
Quel che mi resta di te
È l’anonimo contorno
Che si cela identico
Dietro qualunque volto.
Secondo manoscritto
Cosa avete visto?
Dove avete perso la vostra luce?
Dove, i vostri capelli?
E il turgore delle guance?
Dovete dirmi, dove non guardare
Quando non domandare
Quale l’orizzonte, da abbandonare.
Se voi siete il divenire
Come posso ringiovanire,
Tornare seme alla terra
E morire in giorni di pioggia
Senza aver conosciuto
Dei vostri occhi, il vuoto?
Anna Pazi Giovanni Guerzoni
Ferrara, ottobre-novembre 2024