SOLITUDINE DELLA MEMORIA
Fotografie di Tiberio Zucchini
SOLITUDINE DELLA MEMORIA
Franco Patruno
Se il verbo ostendere designa il mostrare o il manifestare qualcosa a qualcuno, ostensivo, che è l’aggettivo corrispondente, significa prevalentemente ciò che è possibile esibire; è quindi indicativo di un’idea, un’intuizione o di una percezione ottenuta da un dato sensibile.
La filologia ci aiuta: Paolo Pallara espone un paesaggio sedimentato nella coscienza. Ma non è un idealista, cioé non evidenzia le linee ipotetiche o il modello di un reale possibile. Come sottolinea Elisabetta Pozzetti, il riferimento a William Congdon è umile consapevolezza di un ‘appartenenza. Il grande pittore statunitense ha vissuto gli ultimi anni della sua vita rappresentando, in forme diverse quadro per quadro, ciò che vedeva da una piccola finestrella nella bassa milanese. Coscienza e realtà subivano una stupefacente concentrazione e si organizzavano in sintesi di linea e colore determinati dal gesto che, subitaneo, si ostendeva su un supporto nero. Paolo, con un implicito richiamo, dichiara di appartenere a quella terra senza urgenze di inutili imitazioni. Certo, il suo non è un dipingere gestuale ma è assai prossimo ad una meditazione cromatica sugli esiti della pittura d’azione. Pallara non fugge dalla percezione del paesaggio, anzi ne esalta le componenti organiche, la fusione dei colori, l’osare accostamenti che sono nella natura ma che non corrispondono a ciò che, culturalmente, si ritiene consequenziale. L’armonia non è mai prestabilire in astratto che il verde debba essere coniugato con ocra e giallo e che gli azzurri dei cieli si stendano in ornamentali passaggi dal più intenso al più tenue. Per l’artista ferrarese la componente geometrica, del campo visivo gioca sulle suddivisioni in sequenza, quasi a valutare l’apporto dell’astrazione di Mondrian alla densità materica degli squarci di Congdon. L’orrizzonte è reale e di coscienza insieme, ostensivo, quindi, di quelle sensazioni tattili che, nate da acute percezioni, si ottengono solo dopo aver interiorizzato la forma, la materia e il divenire della natura. La sensazione di chi guarda non è di spaesamento, ma di continuità, quasi a verificare che l’unico paesaggio possa scandirsi e riproporsi seguendo il montaggio dei singoli tasselli. Se è possibile, con linguaggio meno grave, favorire una lettura etnica della sua attuale sequenza, il paesaggio di Pallara ha accenti padani. Non si pensi al cromo sostitutivo e drammatico di “Deserto Rosso” di Antonioni ma a quello di chi si lascia costantemente stupire dall’estensione degli orizzonti senza limite che non obbligano alla depressione visiva. E neppure esistenziale.
Franco Patruno – Direttore dell’Istituto di Cultura Casa Giorgio Cini di Ferrara